“…cercare i nostri eguali osare riconoscerli
lasciare che ci giudichino guidarli essere guidati
con loro volere il bene fare con loro il male
e il bene la realtà servire negare mutare.”
F. Fortini
Verrà il pane a ripagarci della fatica di crescere. Sarà il suo morso a riconoscermi.
C’ è il forno di Vincenzo.
E’ il numero tre.
Verrà pane ed avrà gli occhi di un ragazzo che cova un sogno sotto il bianco cappello da cuoco. Dietro il grembiule impregnato di farina.
Dal forno tre gareggia quest’anno alla terra mi tiene. Quest’anno i panificatori sono venuti da Eboli, Erchie, Cava, Marsico, Caselle, Atena…siciliani, campani, lucani, fratelli panettieri. Compagni.
Accanto ha Michele, le sue braccia. Si seguono con gli occhi, si danno la misura dei gesti.
E’ bravo Vincenzo. Il pane lo sa fare. Lo crea ormai ogni settimana. E’ ora il suo mestiere.
Lo segue fin dal suo seme. Coltiva i cereali che usa. Li segue dalla breccia in foglia verde con cui a maggio vengono alla terra.
Lo vede dorarsi nell’estate dei campi. Da filo d’erba a pagliuzza d’oro. Il grano, il farro. Poi ne fa pane.
Rinfresca il lievito madre e ci finisce dentro. E’ uno dei milioni di piccolissimi organismi che fanno grande l’impasto. Basta il loro respiro.
Carosedda, Saraodda e Farro spelta sposa nella sua pagnotta.
Due antichi grani e il vecchio cereale dei romani nelle sue mani.
Forti le braccia impastano insieme a quelle di Michele. Pugni di ossigeno, spazio alla matrice di glutine. Lo rivolta, Lo coprono dopo un ‘altra giravolta.
Non conosce competizione e impasta con me nella madia il pane di un altro forno. Il forno dei limoni.
Poi si ritira nel suo forno tre.
Mentre dispongono le pagnotte in fila sotto la coperta si soffiano poesie fuori alla porta, due chitarre prendono a suonare, si canta o “guarracino” tutta quanta. Si incontrano genti, si fondono suoni.
Lui dentro segue al buio la trasformazione.
C’erano spirali di acqua e farina farsi sigilli sopra le pagnotte. C’erano nell’aria agricoltori, cacciatori e raccoglitori. Osti, Figli d’osti. Carciofi di poeti. C’erano parole “Lunga strada seppur deserta /dove puoi menarmi non vedo/ punto d’arrivo scordarmi i vivi per ritrovarli/con tutto il peso che mi porto/ della vita che mi è nata…” leggevo dopo il silenzio di un concitato inizio e veniva dato al forno il pane.
Al fuoco le parole.
Vincenzo lo tenevo accanto quando alla fine della nostra festa di liberazione, questo 25 Aprile ad Atena Lucana ricordando Scotellaro, a quel verso in cui chiede “Sradicarmi?” lo ho guardato e lui altrove si è voltato.
Non era affare suo.
La terra lo tiene.